di Erica Battaglia – vita.it – 

Ritrovare il gusto di viaggiare da solo. Di guidare un “Triride” senza alzarsi dalla propria sedia a ruote. È l’estate di Fabrizio, tetraplegico romano, tra i panorami mozzafiato dei Balcani e le coste selvagge dell’Albania. La libertà in un’invenzione che rivoluziona il trasporto per le persone con disabilità motoria.

«Non sono un tipo da spiaggia. Né da resort. Mi motiva il viaggio»: con queste parole Fabrizio Bartoccioni, classe 1977, romano, inizia il racconto di un’Estate passata attraversando i panorami mozzafiato dei Balcani e le coste selvagge dell’Albania. Centinaia di chilometri, solo, alla guida del suo “Triride”un’invenzione che permette di aggiungere una terza ruota ad una normale sedia a ruote e di viaggiare ad una velocità che può arrivare a 30 chilometri orari. «Uno scooter, praticamente. Ad inventare “Triride” è stato un mio amico, Gianni Conte, che conoscendomi mi ha suggerito di provarlo. Dopo qualche settimana di prova per calibrare i comandi a mano e cambiare con ruote maggiorate la mia sedia a ruote, ho deciso che un viaggio sarebbe stato il miglior test».

Quindici giorni, da ferragosto a inizio settembre. Imbarco ad Ancona. Destinazione Spalato e poi giù fino alle coste dell’Albania, attraversando la Croazia, la Bosnia e il Montenegro. Sul “Triride”: una terza ruota che si adatta alla propria sedia a ruote e, grazie ad un motore elettrico e a comandi adattati, arriva a velocità assistite che permettono a persone come Fabrizio di concentrarsi solo sulla guida. In caso di sosta, magari per entrare in un bar per dissetarsi un po’, la terza ruota si smonta e si lascia fuori. La sedia a ruote torna classica. La batteria? Si ricarica frenando, ma durante le soste basta staccarla e portarsela dietro: in un paio di ore permette un’autonomia di 50 chilometri. È grande tre volte di più di un cellulare. Comoda, insomma.

Libertà, autonomia, innovazione. E poi il viaggio. La scoperta. La sorpresa. «Ho visitato Paesi che fino a pochi anni fa erano interessati da guerre sanguinose, ma ho trovato strade perfette. Non una buca. A Roma non potrei fare la stessa cosa: sembra assurdo ma una buca per la mia lesione spinale sarebbe pericolosa. Alla velocità che può raggiungere “Triride”, cadrei dalla sedia a ruote».

E poi le soste: i panorami dei Balcani, le loro città dalle culture diversi, i tornanti del Montenegro fino a 2000 metri di quota, e poi giù di nuovo alle spiagge dell’Albania. «Mi sono divertito. Ho cercato gli alloggi con il cellulare, valutando ovviamente l’accessibilità. Tanti appartamenti sono al piano terra e i centri cittadini hanno pavimentazioni perfette per chi vive su una sedia a ruote. Ho trovato aria buona, cibo autentico. Cercavo l’avventura. Ho trovato la genuinità. A Sarajevo ero stanco però: ho preso un albergo vero, più comodo, con un materasso giusto per la mia lesione».

Fabrizio Bartoccioni non se ne rende conto, ma per tanti che lo hanno incontrato in quelle strade è stato una specie di attrazione. Non solo per il singolare mezzo che ha permesso alla sua sedia a ruote di trasformarsi in un mezzo di viaggio, ma anche per il diverso approccio alla disabilità che c’è in quei Paesi. Non è frequente infatti vedere una persona disabile che si comporta come una persona normodotata, che si concede libertà pensabili solo per chi non ha problemi motori o arti superiori perfettamente funzionanti. Non è nemmeno frequente vedere innovazioni tali da permettere ad un normale ausilio per la mobilità di diventare mezzi di trasporto. Non è nemmeno frequente vedere ausili moderni. La disabilità è poco visibile, l’innovazione ancora non è arrivata, la mobilità delle persone con disabilità non è contemplata: «sono stato percepito come qualcosa di strano, ma i più curiosi sono stati i bambini».

Tra le esperienze negative, una rovinosa caduta in strada. «Ero distratto. Sono caduto in mezzo alla strada. È stato pericoloso, anche per la velocità con cui si guida in quei Paesi. Errore mio, ma ho portato le ferite per tutto il viaggio».

Un viaggio di centinaia di chilometri. Con una ruota in più. Su un “Triride”. Sorridendo di tramonti incantati tra mare e montagna. Superando la barriera più grande: il confronto con sé stessi quando si è soli.

Fonte: vita.it