Fonte: superando.it – di Mario Mirabile e Giuseppe Biasco –
«È certamente necessario migliorare la Legge sul lavoro delle persone con disabilità – scrivono Mario Mirabile e Giuseppe Biasco – ma non abolirla, nella consapevolezza che se non cresce l’occupazione, sarà difficile per tutti – e per le persone con disabilità in particolare – trovare un lavoro. Purtroppo gli scenari futuri di recessione non ci fanno presagire niente di buono, ma la nostra incrollabile fiducia nella vita e nel nostro impegno quotidiano, ci fanno sperare in un mondo diverso, se non migliore di questo»
Ci occupiamo da anni di lavoro e, non solo per i disabili. L’esperienza che abbiamo maturato nell’Area Metropolitana di Napoli ci ha insegnato che viviamo in un mondo in cui il lavoro manca e quando c’è non e mai declinato da solo, ma è sempre accompagnato da un aggettivo, che invece di qualificarlo, lo svilisce, lo sminuisce e lo mortifica: lavoro nero, lavoro precario, lavoro ad ore, lavoro saltuario, lavoro arrangiato. Ovvero, viviamo da sempre in un mondo in cui il lavoro è mal pagato, con scarsi diritti, pieno di discriminazioni, senza possibilità di riscatto sociale.
Negli ultimi dieci anni, dalle nostre Regioni sono andati via 2 milioni di giovani in cerca di lavoro al Nord e in Europa. Anche le persone con disabilità sono state costrette ad emigrare e, tra queste, molti non vedenti che hanno trovato un lavoro fuori dalla propria Regione.
Sono quarant’anni che il nostro Paese vive una crisi infinita del lavoro e il Sud paga, da sempre, il prezzo più alto. In questo interminabile periodo, si sono succedute leggi di riforma generale dell’occupazione, a partire dalla Legge 56/87 dell’allora ministro del Lavoro Gianni De Michelis, passando per le leggi di riordino della metà degli Anni Novanta, arrivando qui alla cosiddetta “Legge Biagi” 30/03, per approdare, infine, al recente Jobs Act del 2014-15; e questo solo per ricordare le riforme più significative.
Tutte queste riforme, di profonda «innovazione e modernità», hanno provveduto a rendere sempre più flessibile il lavoro, abolendo tutti i vincoli che impedivano la libertà dell’impresa e che sembravano rendere asfittico il mercato del lavoro. La deregulation è arrivata fino a far cadere l’ultimo baluardo: l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
La parola d’ordine di questi ultimi trent’anni, dunque, è stata «meno diritti, più lavoro!». I risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti: la disoccupazione in Italia è sempre a due cifre e al Sud sfiora il 20%, con la spiacevole costatazione che i disabili sono un terzo di quel dato abnorme.
Abbiamo dovuto fare questa lunga premessa, perché nel nostro Paese sembra non esserci memoria, tutto è al presente e tutto, quindi, è legittimo, e appare nuovo e moderno, mentre, invece, è vecchio e pericoloso.
Nell’articolo di Daniele Regolo recentemente pubblicato da «Superando.ti», con il titolo Disabilità e lavoro: cinque azioni per cambiare, osare, migliorare, si propone «una graduale abolizione dell’obbligo di assunzione, una stringente normativa antidiscriminazione, un disability manager a supporto delle aziende private, un fondo ad hoc per gli “accomodamenti ragionevoli” e la valorizzazione della rete delle Associazioni e dei servizi territoriali».
Ebbene, ci sentiamo di affermare che siamo d’accordo su ben quattro punti della sua proposta, esattamente dal punto 2 al punto 5; mentre siamo fermamente contrari al primo punto, ovvero la graduale cancellazione della Legge 68/99, sull’obbligo di assunzione delle persone con disabilità. Siamo infatti decisamente convinti che, senza la Legge 68/99, le rimanenti quattro proposte non servirebbero a dare lavoro a nessun disabile.
Nel merito della proposta, innanzitutto non sono convincenti le motivazioni. Infatti, Regolo afferma che occorre «un percorso verso la graduale abolizione dell’obbligo di assunzione», perché «è fin troppo evidente che dal mondo delle imprese tale imposizione viene recepita, e di conseguenza elaborata, con riluttanza, sfiducia, pessimismo. Questa premessa non è certo la migliore [per assumere dei disabili]».
Gli aggettivi usati sono duri, ma chiari ed esprimono in maniera definitiva quello che sappiamo da sempre: un datore di lavoro, sia pubblico che privato, se potesse non assumerebbe mai un disabile! Nessuna qualificazione professionale potrà mai indurre un imprenditore a scegliere, liberamente, un disabile al posto di un non disabile, a meno che non sia di famiglia.
Il nostro Autore non si rende conto che nel momento in cui riporta le posizioni degli imprenditori, registra un preconcetto, un pregiudizio e una profonda avversità all’inclusione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro. Nella consapevolezza generale, il lavoro non è più un’attività di una persona, un servizio utile alla società, non un bene da retribuire, ma una merce da comprare o vendere. In questa logica, sul mercato del lavoro un disabile non ha lo stesso appeal di un giovane che si offre a qualsiasi condizione su un mercato, con poche e non applicate regole.
La domanda che ci assilla da sempre è: ho diritto all’inclusione sociale? L’istruzione e il lavoro sono la parte più importante di questo obiettivo previsto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità? Ebbene, perché mi viene richiesto il massimo delle mie possibilità e ai datori di lavoro non viene mai richiesto di superare i loro pregiudizi?
Tutte le persone con disabilità sono sempre disponibili a migliorare la propria qualità professionale, ma chi ha veramente bisogno di formazione sono i datori di lavoro, che anche di fronte a un disabile preparato e disponibile storcono il naso.
Se la Legge 68/99 non funziona bene, non si migliora l’occupazione dei disabili eliminando il diritto previsto dall’articolo 1 di quella stessa legge, ma rendendo più aperto il mercato del lavoro, con politiche attive e con investimenti per lo sviluppo, per aumentare il lavoro in tutto il Paese.
In questo quadro generale, il miglior funzionamento dei Centri per l’Impiego dovrebbe essere una priorità assoluta e in questo contesto le altre proposte di Daniele Regolo possono essere un ulteriore, importante, contributo per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.
È necessario dunque migliorare la Legge, non abolirla, nella consapevolezza che se non cresce l’occupazione, sarà difficile per tutti – e per le persone con disabilità in particolare – trovare un lavoro.
Purtroppo gli scenari futuri di recessione non ci fanno presagire niente di buono, ma la nostra incrollabile fiducia nella vita e nel nostro impegno quotidiano, ci fanno sperare in un mondo diverso, se non migliore di questo.
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