Fonte: superando.it – di Sara Bonanno
«Il caregiver familiare in ospedale – scrive Sara Bonanno – è una risorsa unica e insostituibile, altro che “posto letto rubato”, come alcuni hanno detto, commentando la notizia di una persona non autosufficiente che è stata, finalmente, ricoverata con il suo caregiver familiare in ospedale. È piuttosto un posto letto aggiunto, perché il suo essere “incollato” alla persona non autosufficiente finisce per diventare talmente potente da rappresentare anche la cura stessa, svincolando le risorse sanitarie per altri pazienti».
È notizia recente di una persona non autosufficiente che è stata, finalmente, ricoverata con il suo caregiver familiare in ospedale. È una cosa che noi caregiver familiari chiediamo sin dall’inizio di questa pandemia, perché è qualcosa che ci sembra talmente naturale che il vietarla appare disumano. Ho però finalmente intuito l’origine di alcune delle motivazioni di questo divieto e l’ho compreso leggendo i commenti fatti da diverse persone a questa notizia: la disinformazione. No, meglio, l’assoluta e totale mancanza di conoscenza.
Sono stati infatti in molti a contestare la scelta di ricoverare quella persona non autosufficiente con il suo caregiver familiare, affermando che, in regime di scarsità di posti letto, occuparne due rappresentava uno spreco.
Ecco, leggere questa osservazione mi ha provocato una lunga e irrefrenabile risata amara. Ma poi ho capito che occorreva spiegare nei dettagli com’è la vita di un caregiver familiare in ospedale, perché è evidente che è questo il pensiero che guida anche i rappresentanti istituzionali e sanitari che decidono i protocolli Covid, senza conoscere e senza sapere.
Il caregiver familiare, che assiste una persona non autosufficiente in ospedale, nemmeno lo sa che cos’è un letto. Spesso non sa nemmeno che cos’è un pasto e, in alcuni casi, non sa nemmeno che cos’è un bagno. E non sto dicendo cose d’effetto, tanto per dire: qualsiasi caregiver familiare che ha assistito una persona non autosufficiente in ospedale lo potrà testimoniare.
Un caregiver familiare in ospedale vive letteralmente “incollato” alla persona che assiste, senza mai staccargli gli occhi di dosso, perché diventa tutto ciò che quella persona non è in grado di fare: dal suo lamento per segnalare dei dolori, dei malesseri, delle lievissime anomalie, spesso così importanti per i sanitari quando si tratta di salvare la vita.
Il caregiver familiare sa come fare per spiegare alla persona non autosufficiente cosa gli sta succedendo quando gli fanno dei prelievi, gli somministrano dei farmaci, lo visitano. Tutte cose che possono sembrare naturali a chiunque, ma che diventano violente e gravemente traumatizzanti a chi ha difficoltà nel comprendere un contesto sconosciuto, già largamente angosciante per il fatto che si sta male.
Il caregiver familiare in ospedale è una risorsa unica e insostituibile. Altro che “posto letto rubato”! È piuttosto un posto letto aggiunto, perché il suo essere “incollato” alla persona non autosufficiente finisce per diventare talmente potente da rappresentare anche la cura stessa, svincolando le risorse sanitarie per altri pazienti.
Ringraziamo Elena Improta per la collaborazione.
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