Fonte: superando.it – di Antonio Giuseppe Malafarina–
«La società, le persone che la compongono e i media – scrive Antonio Giuseppe Malafarina – piazzano le persone con disabilità “prime” o “ultime” a seconda delle convenienze: se siamo bravi scaliamo i vertici dell’apprezzamento – quanto meno formale – per le nostre abilità, ben oltre quanto sia obiettivamente realistico; se manifestiamo bisogni, scaliamo la classifica a ritroso e diventiamo “quelli che chiedono”, “quelli che pretendono” e “che danno fastidio”. Ma chi siamo noi? Siamo come tutti. Fra eccessi in più e in meno siamo persone normali».
Ovovia sul ponte di Calatrava, Samanta Bullock che disegna abiti e una sconosciuta Silvia M., protagonista di un cortometraggio di Alessandro Leonardi: prendi un fatto di attualità noto, uno di imprenditoria glamour travisato in operetta sociale e uno di affermazione di sé, e considera il filo conduttore. C’è della disabilità e c’è una domanda: le persone con disabili sono prime o ultime?
Caso ovovia. L’archistar Santiago Calatrava è l’artefice del prestigioso “Ponte della Costituzione” a Venezia, sul Canal Grande. Avveniristico, costoso e non accessibile. Accessibilità ottenuta con un’ovovia qualche anno dopo l’inaugurazione, nel 2008, e praticamente mai entrata in funzione.
Ora ne è consentita la rimozione, a suon di denari. La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha proposto, su queste stesse pagine, di renderla un monumento a come non si deve fare nella progettazione e nell’inclusione, a imperitura memoria. Un’orrida esposizione a uso pedagogico che io deporrei più propriamente nei libri di architettura o, opportunamente celebrata, in sede meno pittoresca.
Samanta Bullock si muove in carrozzina, è nata in Brasile e vive a Londra. Modella internazionale e campionessa di tennis, a 15 anni gioca con la pistola del padre, parte un colpo e rimane paraplegica. Ora ha 40 anni, è felicemente sposata, è un personaggio un bel po’ noto e al «Corriere della Sera» dice di avere usato il dolore come stimolo per superarlo.
Sfilando in carrozzina, ha pensato di realizzare una linea di moda per tutte le donne, risaltando le linee principalmente in posizione seduta. Non moda per donne in carrozzina bensì in poltrona: geniale e libero dall’etichetta spacciatamente triste di “moda per disabilità”.
Silvia M. è una ragazzina con disabilità. Nel cortometraggio Una giornata di Silvia M. (lo si può guardare a questo link), se ne mostra la quotidianità, fra un nonno atletico, la mamma energica, la band dei fratelli che la accompagna mentre aggredisce il microfono, un chilo di pere dolci che diventano un’altra cosa e la graziosa voce con la erre cinese.
Con la canotta gialla è più simpatica di Titti. Fra fragilità e successi, è un emblema della normalità. La sua normalità. Perché ognuno è normale, benché lo sia di più quanto più tende alla normalità statistica.
Alessandro Leonardi è un bravo cineasta che ha saputo raccontare la normalità di Silvia in maniera normale. Non mi piace come viene concepita la normalità, quella per cui se sei diverso sei fuori. Ma la normalità, intesa come tendenza a un’esistenza vitale quanto serena, non mi azzardo a demonizzarla.
Silvia M. è una ragazzina come tante. Mi dice: «Ho 16 anni e amo molto gli animali. Ho fatto ippoterapia per dieci anni e ora faccio tennis e nuoto. Vado in un istituto professionale, passo il tempo con gli amici e il mio cibo preferito è la caprese. Ascolto musica, messaggio con la chat, guardo video e film. Spesso arrivo alla sera che sono stanca. La famiglia per me è importante e a volte provo a fare la furbetta, quando non voglio fare qualcosa…». Storia comune di serena consuetudine.
Riepilogando: con l’ovovia siamo di fronte a diritti negati, cioè a persone con disabilità messe ai margini della società, pertanto ultime.
Con Samanta Bullock abbiamo una persona con disabilità che fa dell’imprenditoria e che, al di là di qualche pietismo di rito, passa alla ribalta per essere una molto capace, dunque prima.
Silvia M., fra successi e incertezze, non è né prima né ultima, è una fra i tanti.
La società, le persone che la compongono e i media piazzano le persone con disabilità “prime” o “ultime” a seconda delle convenienze: se siamo bravi scaliamo i vertici dell’apprezzamento – quanto meno formale – per le nostre abilità, ben oltre quanto sia obiettivamente realistico; se manifestiamo bisogni, scaliamo la classifica a ritroso e diventiamo “quelli che chiedono”, “quelli che pretendono” e “che danno fastidio”. E lo stesso facciamo noi disabili: ci piace primeggiare, far capire che possiamo fare come e più degli altri, ma all’occorrenza ci facciamo passare per quelli che hanno bisogno più di tutti, accettando le lacrime di convenienza della platea, pur di vincere talent, andare in TV o, semplicemente, superare una fila…
Chi siamo noi? Siamo come tutti. Fra eccessi in più e in meno siamo persone normali. Bella lezione, Silvia M!
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