di Simonetta Morelli – fonte: superando.it –
«Al netto dell’indubbia bontà artistica della canzone – scrive Simonetta Morelli – mi domando quale realtà attuale abbia voluto esattamente rappresentare Daniele Silvestri al Festival di Sanremo, con la canzone “Argentovivo”. La bellezza davvero non può essere rappresentata nella semplicità delle relazioni che si intrecciano ogni giorno, essendo semplicemente genitori e figli, docenti e alunni, giovani e adulti in gamba, brillanti, intelligenti, generosi, anche quando si è disabili? Oppure tristi, arrabbiati, disperati a volte, stanchi. Normali. Donne e uomini normali, con disabilità».
Prometteva emozioni Argentovivo, la canzone che Daniele Silvestri ha presentato al Festival di Sanremo e che descrive le difficoltà esistenziali di un sedicenne. Ma le emozioni si condividono, i pugni nello stomaco costringono a ritirate strategiche e conclusioni angoscianti.
È parso subito evidente che le “condizioni esistenziali” del protagonista non fossero ordinarie, ma oltremodo drammatiche e causate, come si evince dal testo, da un disagio trattato con superficialità e spietato egoismo dagli adulti di riferimento. Nel testo, infatti, la mentalità ottusa e conseguentemente violenta degli adulti non viene mai giudicata esplicitamente; però il giudizio è provocato fortemente in chi ascolta o legge il testo.
Ma cosa ne è di vent’anni di evoluzione e di cambiamento nella percezione sociale della disabilità? Fuori dal testo della canzone, nella vita reale che l’Autore ha pure osservato, chi sono realmente gli adulti di riferimento dei ragazzi con quei disagi? Carcerieri o persone attente?
Mitigherebbe l’angoscia il pensiero che forse il protagonista sedicenne è solo un simbolo e non un ragazzo in carne ed ossa.
Silvestri non è chiarissimo in proposito. Nelle interviste dà indicazioni diverse sulla genesi e sul significato del brano. Ma sulle buone intenzioni non ci sono dubbi: vuole raccontare il malessere di ragazzi che ha realmente conosciuto.
È difficile non cedere alla commozione di fronte alla sofferenza senza riparo di un minorenne che sente di vivere in una condizione di segregazione fisica e morale ed è costretto – questo narra il testo – all’uso di farmaci che non vorrebbe assumere.
Un quadro, per quanto espresso poeticamente in maniera sublime, che ha colpito negativamente molti genitori impegnati con forza e grande dignità nel loro ruolo di caregiver e docenti che combattono per i loro alunni in un clima scolastico devastato.
La società, rappresentata nel testo da quei fallimentari adulti, appare immobile e soffocante. Ma nella realtà esiste un’altra società potentemente rappresentata. È curiosa, affamata di saperi, stanca di mondi separati e paralleli, desiderosa di costruire ponti. I bambini e i ragazzi con e senza disabilità che crescono insieme, a scuola e nello sport, sono così: prossimi fra loro. E supportati ed educati dai loro adulti di riferimento.
Mi domando – al netto dell’indubbia bontà artistica della canzone – quale realtà attuale abbia voluto rappresentare esattamente Silvestri.
La bellezza, che spesso ci è negata, davvero non può essere rappresentata nella semplicità delle relazioni che si intrecciano ogni giorno, essendo semplicemente genitori e figli, docenti e alunni, giovani e adulti in gamba, brillanti, intelligenti, generosi, anche quando si è disabili? Oppure tristi, arrabbiati, disperati a volte, stanchi. Normali. Donne e uomini normali, con disabilità.
Peccato che i dubbi sul testo di Silvestri restino tanti. E che resti un fondo di amarezza stagnante per una sconfitta culturale che, per questa volta, lascia il primato a una visione della realtà volutamente tragica e senza rimedio.
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