Solo il 20% dei disabili gravi ha un lavoro. Da un convegno di Inail e “Superabile” il punto sulla situazione e le proposte. Di Giorgio Marota

C’è un ostacolo che forse più di tutti impedisce politiche adeguate sull’inserimento lavorativo di persone con disabilità: la mancanza di dati e di statistiche aggiornate. Sul tema disabilità e lavoro gli ultimi numeri risalgono al 2013, anche se la legge 68 del 1999 prevede l’obbligo e la necessità di una relazione biennale sul suo stato di attuazione. Purtroppo tale report da 4 anni è bloccato in Parlamento.

Cosa sta succedendo? In quale direzione stiamo andando? Esiste, davvero, un lavoro per tutti? Sono questi i temi affrontati nel convegno Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) e “Superabile” di mercoledì 29 novembre, dedicato a “Un lavoro per tutti. Verso la Giornata internazionale delle persone con disabilità”.

LA LEGGE. Senza informazioni la politica non sa dove e come intervenire. La 68/99 è un insieme di norme (ad esempio quella dell’obbligo di assunzione di almeno una persona con disabilità ogni 15 dipendenti e di una quota pari al 7% quando i lavoratori occupati sono più di 50), per garantire anche alle persone diversamente abili il diritto al lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato.

Si applica a quattro categorie di cittadini: le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai disabili intellettivi, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento; le persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento; le persone non vedenti o sorde; le persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio.

L’articolo 1 della Costituzione vorrebbe l’Italia come “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, ma la crisi di occupazione è ancora più grave per chi è disabile. Il 45% della popolazione non ha un impiego, ma solo il 20% delle persone tra i 15 e i 64 anni con una grave disabilità lavora. Otto persone su dieci attendono una svolta che non arriva.

Numeri su cui riflettere, dato che ce n’è un’altra di legge, la 67 del 2006, che prevede misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, per non parlare dei tanti regolamenti internazionali, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

LE AZIENDE. Insomma, non c’è vuoto legislativo, ma c’è tanta difficoltà nell’applicare le norme al mondo del lavoro. Anche perché, nella maggior parte dei casi, è un dato di fatto che i disabili non producano quanto gli altri. Come se ne esce? Creando i presupposti, con investimenti, affinché queste persone possano svolgere determinate mansioni diventando un punto di forza dell’azienda e non un peso.

Il datore di lavoro è obbligato all’accomodamento ragionevole, ma chiede più sostegno all’Inail. In sostanza: io assumo, ma vorrei la possibilità di mettere quella persona in condizione di essere produttiva (aiutandomi nell’acquisto di macchinari e strumentazioni adatte) tanto quanto gli altri lavoratori.

LA POLITICA. Nel corso dell’evento su disabilità e lavoro sono intervenuti diverse autorità. Il sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Luigi Bobba, ha illustrato le novità contenute nella legge di riforma del Terzo settore, secondo la quale l’interesse generale è perseguibile «attraverso l’azione volontaria, quella mutualistica, ma anche l’imprenditorialità sociale».

Alfredo Ferrante, presidente del Comitato sui diritti delle persone con disabilità del Consiglio d’Europa, ha centrato un altro punto fondamentale per quanto riguarda il tema disabilità e lavoro: la politica dei “fondini” e la mancanza di riforme strutturali. «Stanziare piccoli fondi, una tantum, non basta” ha dichiarato “queste sono visioni strabiche. L’accesso al mondo del lavoro dei disabili è visto sempre e comunque come un peso, un problema di cui occuparsi, piuttosto che una risorsa».

C’è, quindi, un problema culturale: come percepiamo la disabilità? Cosa facciamo, ogni giorno, per favorire l’inclusione? La persona diversamente abile è un attore economico, un elettore, un contribuente. Avrebbe il diritto di essere anche un lavoratore, ma troppo spesso sembra come un pacco da sistemare da qualche parte.

Due realtà hanno rifiutato con convinzione questa posizione. La Fondazione Boccadamo ha creato, presso la propria sede a Frosinone, una scuola orafa completamente gratuita, destinata a giovani con disabilità motoria, provenienti da ogni parte d’Italia, che possano avvalersi di entrambi gli arti superiori.

LE ESPERIENZE. L’associazione Come un albero di via Alessandria, a Roma, ha allestito un museo che racconta la disabilità in 6 stanze, ognuna delle quali rimanda a un discorso specifico sul tema: l’ingresso (o il pre-giudizio dello sguardo), il soggiorno (o il potere delle parole e del dialogo), la sala da pranzo (la convivialità che unisce), la cucina (gli ingredienti per la buona narrazione sulla disabilità), il bagno (o i riti di purificazione) e la camera da letto (dove nascono i sogni del futuro). All’interno del museo c’è un servizio di ristorazione e gastronomia in cui lavorano 4 persone diversamente abili, altri 4 operatori e due volontari.

«Il nostro è prima di tutto un progetto di comunicazione sociale sulla disabilità», ha spiegato il coordinatore Stefano Onnis. «Non vogliamo diventi il locale dei disabili dove si va a mangiare per compassione. Siamo aperti a tutti e siamo sul mercato, lo staff lavora insieme e quando lavoriamo non c’è differenza tra operatori e ragazzi. Vogliamo che la gente venga da noi perché il posto è bello e si mangia bene. Siamo prima di tutto un ristorante».

Ed è questa “normalità” a spiazzare e a rendere “Come un albero” uno straordinario esempio di come disabilità e lavoro possano incontrarsi.

Fonte: http://www.retisolidali.it/disabilita-e-lavoro-inail/