«Ci sono nuove forme di lavoro – scrive Palma Marino Aimone – come lo “Smart Working” (la possibilità di lavorare in parte o totalmente fuori dalla sede aziendale negli orari concordati) o il “Coworking” (condivisione di un ambiente di lavoro), fissate recentemente anche dalla legislazione del nostro Paese, che possono certamente favorire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Resta per altro la necessità di un gioco di squadra tra aziende, sindacati, istituzioni e professionisti, affinché tali norme e opportunità si traducano in vantaggi reali»
La recente approvazione della Legge sul cosiddetto Smart Working, ossia la possibilità di lavorare in parte o totalmente fuori dalla sede aziendale negli orari concordati, grazie al supporto di adeguati strumenti tecnologici, potrebbe favorire lo sviluppo di modelli di organizzazione del lavoro tali da consentire una reale integrazione delle persone con disabilità.
Quando per altro si parla di disabilità di persone in età lavorativa, si fa riferimento non soltanto alla disabilità fisica, intellettiva e alle malattie psichiche, ma anche alle malattie croniche, quali ad esempio il cancro, che secondo la FAVO (Federazione Italiana delle Associaizoni di Volontariato in Oncologia) conta circa un milione di persone (fonte: FAVO e CENSIS).
Premesso che uno degli elementi chiave dell’integrazione sociale della persona adulta è il suo inserimento nel processo produttivo (1), le persone con disabilità che con il tradizionale contratto di telelavoro vivono l’emarginazione socio-lavorativa – perché confinate in modo prolungato o permanente presso la propria abitazione – rischiano il peggioramento delle condizioni di salute, l’impoverimento delle relazioni umane e l’abbassamento del conseguente livello di apprendimento e di produttività lavorativa.
Lo Smart Working, invece, attraverso la valorizzazione del lavoro ad obiettivi, la riduzione della rilevanza di elementi tradizionali quali l’orario di lavoro e la sede – che a differenza del telelavoro non deve coincidere necessariamente con la propria abitazione – nonché l’ausilio di strumenti informatici, consente di sfruttare al massimo la capacità produttiva individuale, specie appunto delle persone con disabilità.
Il riferimento alla disabilità nel provvedimento di legge citato è esplicito e avviene nella parte in cui si fa riferimento al recesso dalla modalità di Smart Working da parte del datore di lavoro (articolo 19). «Nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68 – recita il testo -, il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni (anziché 30) al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore».
Si è voluto così promuovere uno strumento come lo Smart Working, che è per antonomasia una forma di “accomodamento ragionevole” (2), in quanto non si tratta soltanto di un adattamento della postazione lavorativa come ambiente fisico, di ergonomia, di dispositivi e ausili, ma ancor più di riconciliare il ciclo vita-cura-lavoro.
Oltre poi ai vantaggi tipici dello strumento – che consente di ottimizzare il costo del lavoro e di incentivare le politiche retributive orientate maggiormente al merito e al raggiungimento effettivo degli obiettivi – per il personale con disabilità si aggiungono i vantaggi dell’abbattimento dei costi di gestione e di adeguamento dello spazio fisico e una riduzione dei costi dell’assenteismo, specie quello relativo alle diverse patologie, il tutto a beneficio dell’efficienza produttiva. Un terzo del costo sociale di malattia, infatti, è legato proprio alla perdita di produttività!
Va ricordato anche che per limitare ulteriormente le forme di alienazione che possono nascere nei momenti in cui si lavora da soli e per rispondere in modo innovativo e funzionale al cambiamento del mondo del lavoro attraverso la condivisione dell’ambiente occupazionale e la valorizzazione delle opportunità offerte dal contatto con persone che svolgono professioni differenti, in molte città stanno crescendo sempre più gli spazi di Coworking(“condivisione dell’ambiente di lavoro”), spesso supportati da incentivi economici (3).
In questo contesto è auspicabile che sia le strutture di Coworking che le relative politiche incentivanti considerino in modo particolare la gestione lavorativa delle persone con disabilità e non soltanto in termini di accessibilità.
I datori di lavoro, infatti – che sia in caso di adozione dello Smart Working che di Coworking ottempererebbero comunque alle norme sul collocamento obbligatorio con possibilità di usufruire degli incentivi all’assunzione – potrebbero, in un ottica di analisi costi-benefici, essere invogliati ad affidarsi a strutture di Coworking in grado di offrire adeguati servizi dedicati.
Lasciando ad altre sedi l’analisi della nuova normativa di recente approvazione, qui vogliamo soltanto sottolineare come le aziende abbiano la possibilità – tramite il solo accordo individuale, sottoscritto con il dipendente – di elaborare un modello di Smart Working con più soluzioni differenti e adeguate alla particolare disabilità, con il solo vincolo di non superare le soglie massime dell’orario di lavoro. Anzi, con la soluzione del Coworking verrebbero anche superate le perplessità relative alla legge sulla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, per i rischi connessi alla prestazione resa all’esterno dei locali aziendali.
Tuttavia, l’accordo individuale ai fini dell’adozione dello Smart Working non esclude la possibilità di regolare il lavoro agile mediante un accordo collettivo, che rimane una sede particolarmente adatta, sia ad avviare questa forma di lavoro – come dimostrano i tanti accordi siglati già prima dell’approvazione della nuova legge (Enel, Barilla, Pirelli, Tetrapak, Italtel, Intesa San Paolo, Ferrovie dello Stato ecc.) – sia a trattare il tema dell’inclusione lavorativa del personale con disabilità nei luoghi di lavoro.
Smart Working dunque e Coworking come strumenti innovativi a disposizione del Disability Manager, per una gestione efficace ed efficiente nella gestione dei piani di Disability Management, fermo restando che ancora una volta, per ottenere ciò, è necessario un gioco di squadra tra aziende, sindacati, istituzioni e professionisti, affinché le norme e le opportunità legate all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità si traducano in vantaggi reali.
Note:
(1) Carlo Lepri, Enrico Montobbio, Lavoro e fasce deboli, Milano, FrancoAngeli, 1994.
(2) Con le parole “accomodamento ragionevole” si indicano le modifiche e gli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali (articolo 2 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità).
(3) A questo link è presente un esempio di avviso pubblico riguardante misure in favore del Coworking.
Fonte: Superando.it
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