Fonte: www.laleggepertutti.it –

Malattia: superamento del comporto, licenziamento, retribuzione del dipendente, comporto secco e per sommatoria, calcolo del tempo del comporto, ritorno sul posto di lavoro.

Indice

Cos’è il comporto?

In caso di malattia, il lavoratore ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro per un determinato periodo (tale periodo è, appunto, chiamato “comporto”): questo significa che, durante il comporto, il dipendente non potrà mai essere licenziato. Viceversa, se l’assenza si protrae oltre tale periodo, il datore può licenziare il dipendente.

L’unico caso in cui l’azienda può licenziare il lavoratore durante il comporto è per giusta causa: ossia in ipotesi di crisi aziendale o quando il dipendente abbia posto un comportamento particolarmente grave da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia col datore.

Nella contrattazione collettiva, normalmente, il periodo aumenta al progredire della qualifica del dipendente e della sua anzianità di servizio; il superamento del periodo in relazione all’anzianità del lavoratore va valutato al momento dell’invio della lettera di licenziamento e non all’inizio della malattia [1].

Qual è il periodo di comporto?

Il periodo di comporto è stabilito dalla legge, dagli usi e (come di norma succede) dal contratto collettivo di lavoro nazionale (o individuale, se più favorevole).

Pertanto il lavoratore che voglia conoscere quale sia la durata massima entro cui la malattia è consentita deve innanzitutto leggere il proprio CCNL: è lì che, con molta probabilità, troverà i termini temporali del comporto per la propria categoria lavorativa.

La regola del comporto vale per tutti i tipi di malattia?

No. Se la malattia è conseguente a un infortunio avvenuto sul luogo di lavoro, non ci sono limiti massimi per la durata della malattia e il lavoratore non può mai essere licenziato, neanche se l’assenza supera il periodo di comporto.

Secondo la Cassazione [2], infatti, non si calcolano nel comporto le assenze per malattia imputabile al datore, derivanti cioè dalla nocività dell’ambiente di lavoro causata dalla violazione del dovere di sicurezza o quelle cumulate dal lavoratore invalido adibito a mansioni incompatibili con le sue condizioni: in questi casi, l’onere della prova della nocività delle mansioni spetta sempre al lavoratore.

Il lavoratore, colpito da malattia di particolare gravità per la quale è previsto dalla legge o dal Ccnl l’obbligo del datore di conservare il posto per periodi di tempo eccedenti il limite massimo del comporto, ha l’onere di informare il datore dell’insorgenza e della natura della malattia da cui è affetto prima che il datore eserciti la facoltà di recesso [3].

Cosa succede alla retribuzione durante il comporto

Durante il comporto, il lavoratore ha diritto a conservare, oltre al posto di lavoro, anche la retribuzione indennità prevista dalle norme collettive; il comporto deve essere computato nell’anzianità di servizio.

Durante il comporto il lavoratore ha diritto a un’indennità giornaliera di malattia, normalmente posta a carico dell’Inps e anticipata dal datore; i contratti collettivi possono prevedere (di norma prevedono) un’integrazione a carico dell’azienda, applicando il concetto della lordizzazione per evitare che il lavoratore in malattia percepisca una retribuzione netta maggiore rispetto a quella derivante dalla prestazione lavorativa. Per gli impiegati (esclusi quelli del terziario) l’indennità di malattia è a carico del datore.

Cos’è il comporto secco

Si ha quando il periodo di conservazione del posto è stato stabilito (normalmente dal Ccnl) con riferimento a un unico episodio morboso di lunga durata, cioè tale da coprire con continuità e ininterrottamente un notevole arco di tempo.

Cos’è il comporto “per sommatoria”

Si ha in presenza di una pluralità di malattie ripetute e intermittenti che, singolarmente considerate, non raggiungono il quantitativo richiesto per il comporto secco. Il comporto per sommatoria, la cui durata massima può essere stabilita in via equitativa dal giudice di merito se non prevista dai contratti collettivi, ha un termine esterno (ovvero l’arco temporale considerato) e uno interno (quello dato dalla somma di tutte le assenze per malattia): per esempio 12 mesi complessivi di malattia nell’arco della vigenza del Ccnl che è, in ipotesi, pari a 3 anni [4].

Come si calcola il tempo del comporto?

Nella determinazione del periodo di comporto (secco o per sommatoria) si considerano (salvo diversa previsione del contratto) anche i giorni non lavorati (sabato, domenica, festività infrasettimanali, sciopero) o che cadono nel periodo di malattia, dovendosi presumere la continuità dell’episodio morboso e l’indisponibilità del lavoratore, salvo che egli fornisca la prova contraria [5].

Non calcolano altresì i periodi di assenza di malattia a causa di gravidanza puerperio (Min lav., nota 16.11.2006, prot. n. 6123).

Come si calcola il comporto in caso di part time?

Nel part time orizzontale la durata del comporto è uguale a quella dei rapporti full time.

Nei part time verticali, in mancanza di previsione contrattuale, è affidato al giudice di merito il compito di ridurre il periodo in proporzione alla quantità della prestazione.

Come avviene il licenziamento se il dipendente supera il periodo di comporto?

Se la malattia del dipendente supera il periodo di comporto, l’azienda può procedere al licenziamento. A tal fine deve dare il preavviso. Tuttavia, non trattandosi di licenziamento disciplinare non è necessaria alcuna contestazione: è sufficiente che sia stato superato il periodo di comporto e che tale circostanza sia indicata dal datore come giustificazione del recesso [6].

Se il licenziamento per superamento del comporto è legittimo sono irrilevanti qualsiasi eventuali ulteriori motivi che rendono illecito il licenziamento stesso.

Il recesso, se non con urgenza, deve comunque essere comunicato al lavoratore con tempestività, così da far risultare in maniera chiara la volontà datoriale di risolvere il contratto.

Posso chiedere il congedo parentale dopo il superamento del comporto?

Sicuramente. Anzi, secondo la Cassazione [7], se l’azienda concede un congedo parentale dopo il superamento del comporto non può più precedere al licenziamento, perché tale comportamento è incompatibile con la volontà di risolvere il rapporto di lavoro.

Se supero il comporto e torno a lavorare mi possono licenziare?

Una volta superato il periodo, l’accettazione, da parte del datore, della ripresa della attività lavorativa del dipendente non equivale di per sé alla rinuncia al diritto di licenziarlo e non preclude il licenziamento, a condizione che il datore dimostri in maniera chiara il nesso tra la scadenza del comporto e la successiva risoluzione del rapporto, fermo il potere del giudice di valutare la congruità del lasso temporale trascorso [8]. In pratica, una volta superato il periodo di comporto, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del lavoratore. Tale recesso dovrà essere tempestivo, infatti non dovrà trascorrere un intervallo temporale eccessivamente ampio tra la riammissione al servizio ed il recesso stesso, poiché l’inerzia prolungata potrebbe essere interpretata come rinunzia di avvalersene da parte del datore di lavoro.

note

[1] Cass. sent. n. 16696/2004.

[2] Cass. sent. n. 27105/2006; n. 2302/90; n. 1333/2007.

[3] Trib. Nocera Inf. sent. del 2.11.2006.

[4] Cass. sent. n. 13374/2003.

[5] Cass. sent. n. 14633/2006.

[6] Cass. sent. n. 278/2008.

[7] Cass. sent. n. 1438/2008.

[8] Cass. sent. n. 9032/2000.

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