di Francesco Canale (*)
«Al di là del pregiudizio e della superficialità – scrive Francesco Canale – credo che se ai giovani vengono proposti modelli positivi, con le giuste modalità, sono assolutamente pronti e disponibili per riceverli. E mi auguro davvero che prima o poi, a partire dalla scuola, si capisca che ciò che bisogna insegnare ai ragazzi – prima di ogni altra cosa – è “imparare a vivere”, perché al vertice di qualunque programma didattico dovrebbe esserci l’obiettivo di formare adulti coscienti di se stessi e del Mondo che li circonda»
Quando parliamo di “cultura”, le prime cose che ci vengono in mente sono la letteratura, la musica, la pittura… L’Arte, insomma! Tutto ciò che, in qualche modo, ha a che fare con un “esercizio” o una “produzione intellettuale”.
Questo è sicuramente vero. E tuttavia, a parer mio, “cultura” vuol dire anche un sacco di altre cose. Elencare ogni singolo campo in cui questo concetto può essere applicato diverrebbe troppo lungo, e noioso. Preferirei, piuttosto, soffermarmi solo su uno di essi: l’educazione, e la formazione, delle nuove generazioni.
Come ho già avuto modo di scrivere altrove, ho la fortuna e il privilegio di poter lavorare e vivere di Arte. Fra le tante attività che svolgo (pittura/scrittura/musica eccetera), ce n’è una che – ad un occhio esterno – potrebbe non c’entrare apparentemente nulla con le altre. In realtà, è quella che reputo la più “culturale” e preziosa di tutte… Mi riferisco agli incontriche, periodicamente, svolgo nelle scuole di tutta Italia.
I meeting didattici occupano un posto davvero unico, e speciale, nel mio cuore. Incontrare i ragazzi è una delle esperienze più difficili, e gratificanti, che si possano fare. Con i giovani bisogna stare sempre molto attenti. È essenziale il modo in cui ci si relaziona nei loro confronti… Ho imparato, negli anni, che basta poco e ti alzano una barriera contro. I toni paternalistici, o le vuote “pseudolezioni di vita”, non ottengono nulla. Anzi. Ciò che fa breccia è il porsi come uno di loro, renderli protagonisti dell’incontro, e dar loro la possibilità di guidare la discussione attraverso il formidabile strumento del dialogo.
Spesso sento parlare male delle nuove generazioni. La voce incessante che gira è che siano apatiche, vuote e disinteressate a tutto. Quando mi capita di udire questi discorsi, mi arrabbio molto. Innanzitutto, perché provengono da soggetti che hanno poco da insegnare agli altri. Molte volte, infatti, i primi ad essere “insulsi” sono proprio i genitori dei ragazzi stessi.
Corrono tutto il giorno, non guardano mai in faccia i propri figli, e pensano di compensare le loro mancanze con soldi e beni materiali (magari anche attraverso il massiccio uso di oggetti tecnologici, salvo poi lamentarsi del fatto che gli adolescenti vivono troppo nella cosiddetta “realtà virtuale”). In secondo luogo, m’innervosisce il pregiudizio.
Infatti, è vero che – ad uno sguardo superficiale – i giovani possono apparire freddi e distanti. In realtà, non è così. Sono semplicemente disillusi, ignorati, e lasciati a vagare come tanti “vuoti a perdere”. Io dico sempre che è un po’ come se fossero ricoperti da un velo di cellophane, e polvere. Basta grattare leggermente via il cellophane, per vedere esplodere tumultuoso il fiume che hanno dentro. Ecco perché parlo di pregiudizio… Non si possono “sparare sentenze”, senza conoscere l’effettiva realtà della situazione (o, ancora peggio, far finta di non capirla per evitare così di mettersi in gioco).
Mio padre, che è un “filosofo autodidatta”, dice sempre che il concetto di vuoto non esiste: qualunque cosa, o persona, se non viene riempita di “Bene”, si colma con il “Male”. È quello che sta accadendo alle nuove generazioni. Dopo essere state “colposamente educate al vuoto” da chi le ha precedute, rischiano di assumere abitudini e tendenze deleterie. Allo stesso tempo, però, se ai giovani vengono proposti modelli positivi, con le giuste modalità, sono assolutamente pronti e disponibili per riceverli… Sono come delle piantine fragili che, rimaste per troppo tempo senz’acqua, assorbono ogni piccola goccia che gli viene donata.
Mi auguro davvero che prima o poi, a partire dalla scuola, si capisca che ciò che bisogna insegnare ai ragazzi – prima di ogni altra cosa – è “imparare a vivere”. Sogno un’istruzione meno “nozionistica”, e più vera e concreta. A mio avviso, al vertice di qualunque programma didattico, dovrebbe esserci l’obiettivo di formare adulti coscienti di se stessi e del Mondo che li circonda (anche attraverso la “cultura” intesa in senso “classico”… L’Arte, infatti, come già detto altre volte, è lo strumento cardine per imparare a conoscere e a conoscersi).
Francesco Canale, poliedrico artista con disabilità, meglio noto come “Anima Blu”, è uno dei componenti del gruppo dei pittori di AbilityArt, dei quali recentemente abbiamo avuto modo di occuparci anche nel nostro giornale.
Chiunque sia interessato/a ad organizzare un incontro con lui nella propria scuola (elementare/media/superiore/università), o desideri avere maggiori informazioni, può contattarlo direttamente, scrivendo a info@animablu.eu.
Fonte: Superando.it
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