Fonte: superando.it – di Antonio Giuseppe Malafarina*

«Ha sofferto Ezio, nella vita e soprattutto negli ultimi tempi – scrive Antonio Giuseppe Malafarina, ricordando il musicista Ezio Bosso, scomparso il 15 maggio a 48 anni -. Parimenti ha amato moltissimo. Ha amato supremamente la musica e, autorevole nell’incedere claudicante, ci ha insegnato che non importa come metti il passo bensì che giungi a destinazione. Non conta l’andatura, ciò che resta è lo stile. Ezio ci ha insegnato a essere come la musica: leggiadri a partire dalla nostra materialità. Sublimi a partire dalla nostra condizione umana. Una grande lezione, non solo di questi tempi».

La musica non muore. L’arte non muore. Gli artisti sì, muoiono. La meravigliosa materia umana crea ma non sopravvive alle sue opere. Tuttavia, con le loro opere, gli artisti assumono una perenne vitalità costituita dal perpetuo rinnovarsi di stimoli, approfondimenti, sensazioni e slanci umani di vario genere che proprio queste opere sono in grado di fornire. Ezio Bosso fra questi. Come Michelangelo, Leonardo, Petrucciani, Mercury, Beethoven, Chaplin, Paganini, Renoir, Nureyev…

Non so quanti leggendo questa rapida sequenza di nomi abbiano scorto almeno quattro artisti sicuramente con disabilità, oltre a Ezio. Persone disabili per tutta la loro vita, o per una porzione, che hanno prodotto durante il periodo della loro disabilità. Buonarroti escluso, poiché il dibattito sulla sua disabilità è decisamente aperto. Mi domando a quanti sconvolga le notti la convinzione che la disabilità di questi illustri sia preminente rispetto alla loro arte. Spero a pochi.
Forse Petrucciani è conosciuto prevalentemente per la sua arte proveniente da persona con disabilità, lui che aveva l’osteogenesi imperfetta. Ma le sue melodie al pianoforte sono elevate al punto che una volta sfamata la curiosità sulla sua altezza la peculiarità ritorna futile.
Beethoven compose da persona sorda e Paganini qualcuno sostiene che la sua abilità col violino fosse figlia della dolorosa la sindrome di Marfan, alterazione che colpisce il tessuto connettivo, la pellicola che tiene uniti gli organi del corpo. Renoir negli ultimi decenni della sua vita conobbe l’artrite reumatoide che, fra l’altro, gli deformò le dita senza impedirgli di continuare a dipingere col pennello legato alla mano.

L’arte è arte. Forse gli artisti con disabilità risentono della loro condizione nella produzione delle loro opere. Forse se ne giovano, anche per antitesi. In ogni caso ciò che ci resta non ci parla di disabilità ma di Persone e poi, semmai, di disabilità.
Ezio ci ha portato l’arte in casa con capace sobrietà. Lo ha fatto dal luogo più nazionalpopolare d’Italia: il Festival di Sanremo. Non solo da lì, certo, ma quella è stata l’occasione che lo ha reso familiare un po’ a tutti quanti.
Siamo rimasti incantati dal suo tocco eccelso proposto senza presentarsi virtuoso, bensì decisivo. E siamo rimasti sbalorditi dalla sua parola esatta quanto delicata. Pungente e ironica. Il suo sorriso ha reso leggera una condizione di disabilità che a molti sembrava, e sembra, impossibile da sopportare. E l’ha fatta sparire. Cioè l’ha resa così integrale nel suo personaggio da non permetterle di distrarci dalle sue note.

Ezio è stato una persona gentile. Una dote invisa al linguaggio della televisione. Eppure lui, in garbata controtendenza rispetto al litigioso verbo degli inquilini del televisore, è riuscito a far piacere ai produttori e agli autori questa inconsueta tendenza.
Ha sofferto Ezio, nella vita e soprattutto negli ultimi tempi. Parimenti ha amato moltissimo. Ha amato supremamente la musica e, autorevole nell’incedere claudicante, ci ha insegnato che non importa come metti il passo bensì che giungi a destinazione. Non conta l’andatura perché ciò che resta è lo stile. Non vale l’insulto che ti arriva quando è splendido ciò che hai dentro.

Ezio ci ha insegnato a vivere con consapevolezza, ad applicarci e a non prenderci sul serio oltre quella misura dove l’esternazione diventa arroganza. Ci ha insegnato a essere come la musicaleggiadri a partire dalla nostra materialità. Sublimi a partire dalla nostra condizione umana. Una grande lezione, non solo di questi tempi.
Ciao Ezio.

* Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Ezio Bosso, l’artista dell’umana melodia”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione