Quante assenze dal lavoro può fare un disabile o un invalido che ha una condizione fisica diversa e certamente più grave rispetto a un lavoratore dipendente che si mette malato?

Nel tentativo di dare una risposta alla domanda pubblichiamo il testo del D.lgs. 18 luglio 2011, n. 119 limitatamente agli Articoli 7 e 9.

Decreto Legislativo 18 luglio 2011, n. 119

Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi.”

(Pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 27 luglio 2011, n. 173)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Vista la legge 4 novembre 2010, n. 183, recante deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonchè misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro;

Visto in particolare l’articolo 23 della citata legge n. 183 del 2009 che conferisce delega al Governo ad adottare disposizioni finalizzate al riordino della normativa vigente in materia di congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati;

Sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 7 aprile 2011, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 23, comma 2, della citata legge n. 183 del 2010;

Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, espresso nella seduta del 5 maggio 2011;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 9 giugno 2011;

Sulla proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per le pari opportunità;

Emana

Art. 7
Congedo per cure per gli invalidi

1. Salvo quanto previsto dall’articolo 3, comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni.

2. Il congedo di cui al comma 1 è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta.

3. Durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l’avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell’assenza puo’ essere prodotta anche attestazione cumulativa.

4. Sono abrogati l’articolo 26 della legge 30 marzo 1971, n. 118, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e l’articolo 10 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509.

Art Art. 9
Disposizioni finali

1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 18 luglio 2011

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione
Sacconi, Ministro del lavoro e delle politiche sociali
Tremonti, Ministro dell’economia e delle finanze
Carfagna, Ministro per le pari opportunità
Visto, il Guardasigilli: Alfano

Nell’intenzione di trovare un ulteriore chiarimento, inseriamo di seguito l’articolo pubblicato dalla testata giornalistica online laleggepertutti.it del 29 gennaio scorso.

Per il lavoratore che non ha alcuna disabilità esiste il cosiddetto «periodo di comporto»: il contratto collettivo stabilisce cioè, per ogni tipo di lavoratore, una durata massima di assenze per malattia che gli sono consentite ed entro la quali non può essere licenziato; superato però questo tetto, il datore può far scattare il licenziamento. Come ci si deve comportare nei confronti invece del disabile? Un disabile con handicap può fare quante assenze vuole dal lavoro posto che è più soggetto a ricoveri, trattamenti, infortuni e malattie varie? La risposta – particolarmente interessante – è stata data da una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea [1]. Vediamo cosa hanno detto i giudici comunitari, con sede a Lussemburgo, in materia di assenze per malattia per i disabili.

Il principio di uguaglianza voluto dalla nostra Costituzione impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse. E poiché una delle forme più tipiche di “diversità” è la disabilità (tant’è che si parla proprio di soggetti «diversamente abili»), non si può mettere sullo stesso piano un malattia comune di un lavoratore a una forma di disabilità conclamata da un certificato medico. Il ragionamento può apparire scontato, ma la conseguenza non lo è affatto: in tema di assenze per malattia, è vietato applicare le medesime regole a queste due differenti categorie di lavoratori. Risultato: le continue e intermittenti assenze, dovute a motivi di salute legati a una situazione di disabilità, non possono dar luogo a licenziamento.

Ci spieghiamo meglio: se un disabile con problemi motori agli arti inferiori si mette in malattia a causa di un problema a una spalla, che nulla ha a che vedere quindi con la sua originaria patologia, va trattato alla stregua di qualsiasi altro dipendente; viceversa, se la causa dell’assenza dal lavoro deriva proprio dalla disabilità, per lui non si può applicare l’ordinario termine di comporto previsto per gli altri colleghi “in salute” e, pertanto, anche se resta a casa per molto tempo non può essere licenziato.

Anche nelle assenze per malattia, un disabile non può essere trattato come un collega in salute

La parità di trattamento sulle condizioni di lavoro – dice la Corte di Giustizia Ue, citando la direttiva comunitaria del 2000 [2] con cui vengono stabilite anche le condizioni di tutela dei disabili – va rispettata sia dai datori di lavoro pubblici che da quelli privati. In particolare, proprio l’articolo 2 della suddetta direttiva vieta le discriminazioni indirette fondate sulla disabilità. La normativa europea tende a tutelare la parte debole, come appunto il disabile, in ogni momento del rapporto lavorativo, non solo quello dell’assunzione, dell’ambiente e delle mansioni, ma anche nel momento delle assenze per malattia.

Per evitare che i singoli Stati Membri possano fare discriminazioni, il concetto di disabilità viene definito dalla stessa Comunità europea che stabilisce la nozione di handicap dev’essere intesa come riguardante una limitazione di capacità, risultante in particolare da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori.

Al disabile sono consentite più assenze per malattia senza rischio di licenziamento

Se una norma nazionale come quella in materia di licenziamento tratta allo stesso modo le persone disabili e quelle non affette da alcuna limitazione è commessa una «disparità di trattamento direttamente basata sulla disabilità». È quindi discriminatorio considerare una patologia legata a una disabilità come una normale malattia di qualsiasi altro lavoratore; difatti la direttiva impedisce un’assimilazione «pura e semplice della nozione di handicap a quella di malattia». È evidente, infatti, che un lavoratore disabile corre maggiori rischi di assenze dovute alla propria situazione di handicap e, quindi, le due situazioni devono essere considerate diversamente. Al lavoratore disabile quindi deve essere consentito di assentarsi più spesso senza perciò rischiare il licenziamento se la ragione di tale assenza è legata esclusivamente all’handicap.

Le conseguenze sulla normativa nazionale italiana potrebbero essere dirompenti perché il cosiddetto periodo di comporto potrebbe subire delle flessioni, con maggiore o minore elasticità, proprio in presenza di un soggetto disabile, al quale quindi non si può applicare lo stesso tetto massimo di assenze per malattia di quello del dipendente senza handicap.

Il comporto può subire flessioni nei confronti di chi ha handicap e si assenta a causa di ciò

Certo, scrive la Corte, è legittimo fronteggiare l’assenteismo sul lavoro e impedire congedi di malattia ricorrenti che costituiscono un elevato costo per le imprese, ma i mezzi utilizzati non devono arrivare a discriminare i lavoratori disabili.

note

[1] C. Giust. Ue causa C-270/16.

[2] Direttiva n. 2000/78 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, recepita in Italia con il Dlgs 216/2003.

Fonte: laleggepertutti.it