Possibile usare una parte della giornata di permesso per le proprie attività o relazioni sociali, ma senza snaturare il senso del permesso stesso

Se è vero che tutti la cercano e la chiedono è anche vero che in pochi la sanno usare correttamente: parliamo della legge 104 e, in particolar modo, dei tre giorni di permesso retribuiti previsti dal famoso articolo 33 [1]. La legge stabilisce, in particolare, che possono beneficiare di permessi retribuiti, se sono lavoratori dipendenti, i genitori (naturali, adottivi ed affidatari) e determinati familiari del disabile. I permessi possono essere accordati ad un unico lavoratore per assistere lo stesso disabile (cosiddetto referente unico). Ma come utilizzare la legge 104? La domanda non è affatto banale ed è stata posta, di recente, alla Cassazione. Perché il dubbio? Nel 2010 il testo originario della legge 104 è stato modificato (in verità, gli interventi del legislatore sono stati numerosi) e oggi il lavoratore deve comportarsi in modo diverso rispetto al passato. Ma procediamo con ordine e vediamo come bisogna comportarsi dopo la riforma.

A chi spettano i permessi 104?

I permessi non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza dello stesso disabile. Pertanto, il familiare disabile deve presentare all’Inps un’autodichiarazione in cui risulta la scelta del lavoratore suo familiare da cui vuole essere assistito [2]. Il disabile può essere anche convivente con il lavoratore beneficiario del permesso e non deve necessariamente avere una propria residenza.

Se il disabile assume il domicilio, anche solo per un determinato periodo di tempo, presso la residenza di diversi parenti (entro il 2° grado), è necessario che ciascun avente diritto presenti, di volta in volta, l’istanza per ottenere il riconoscimento dei permessi retribuiti per prestare legittimamente la dovuta assistenza [3]

 

Come utilizzare i permessi 104?

Nel 2000, l’articolo 33 della legge 104 attribuiva i 3 giorni di permessi 104 ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistevano con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, anche se non convivente» [4]. Senonché nel 2010 la norma è stata modificata [5]: in particolare sono stati eliminati i requisiti della «continuità ed esclusività» dell’assistenza per fruire dei permessi mensili retribuiti.

Proprio sul punto è intervenuta la Cassazione [6] la quale ha così chiarito che il lavoratore non è più tenuto a stare tutta la giornata con il familiare invalido e portatore di handicap, potendosi dedicare, per una parte delle ore, anche ad attività personali, ricreative a relazioni sociali.

Perché mai questo trattamento di favore – potrebbe dire chi guarda con invidia il collega che, per tre giorni al mese, se ne sta a casa pagato dall’azienda – per comprendere il ragionamento della Corte e per scoprire definitivamente come utilizzare i permessi 104 ricorreremo a un esempio.

Immaginiamo una donna che lavori dalle 9 alle 16 presso un’azienda. Poiché la madre è paralizzata su una sedia a rotelle ed è ormai vedova, non appena finisce il turno di lavoro corre ad assisterla, a farle il bucato, ad aiutarla a vestirsi e a preparare la cena. Torna a casa propria alle 19, quando ormai i negozi stanno chiudendo, più stanca di come era uscita dal lavoro. Tira avanti così tutto l’anno, senza riuscire a dedicare un minuto a sé stessa, per acquistare un abito o magari riposarsi in un cinema. Invece le colleghe, durante la residua parte della giornata, possono dedicarsi allo shopping o al riposo con le amiche o i figli al parco. A che servono allora i tre giorni di permesso retribuiti? Di certo, dice la Cassazione, bisogna comunque assistere il familiare invalido, perché è questa la funzione della legge 104: tutelare le persone con handicap. Tuttavia non bisogna neanche dimenticare le esigenze dell’altrettanto sfortunato familiare, mai libero di dedicarsi alle proprie necessità.

Ecco perché il legislatore ha cancellato le parole «continuità ed esclusività» dall’articolo 33, volendo così consentire al parente titolare dei permessi di sfruttare qualche ora di questi tre giorni al mese per fare la spesa o per altri bisogni “accumulatisi” nel tempo. O anche solo per sedersi sul divano e godere del riposo che la Costituzione gli riconosce come diritto inviolabile.

Ora, è anche vero – e le numerose sentenze emesse sino ad oggi lo comprovano – che sono in molti i lavoratori titolari della 104 che abusano dei permessi per fare il ponte lungo nei week end, per viaggiare, fare scampagnate con gli amici o che, magari, li trovi la sera in discoteca o a lavorare per altre aziende. Inutile dire che si tratta di comportamenti che, oltre a costituire reato (indebita percezione del trattamento economico ai danni dell’Inps), danno luogo a licenziamento in tronco per giusta causa. Ma non è neanche giusto che per le colpe di alcuni ci rimettano tutti. Dunque, conclude la Cassazione, ecco come usare i permessi 104: chi beneficia dei tre giorni di permesso retribuito non deve prestare assistenza continuativa al familiare invalido, un’assistenza cioè per l’arco delle 24 ore. Una parte della giornata può essere sfruttata anche per riposarsi o svolgere quel minimo di attività sociale che, altrimenti, non si potrebbe avere stando chiusi, dalla sera alla mattina, tra lavoro e familiare handicappato. E questo perché chi ha la sfortuna di avere un padre o una madre non più deambulante o con altre forme di invalidità è più svantaggiato rispetto agli altri colleghi di lavoro i quali, al termine del servizio, possono dedicarsi allo svago o alla propria famiglia. Per i primi, invece, scatta il “dopo-lavoro” costituito dall’assistenza al parente che sta male.

In sintesi, chi beneficia di uno o più giorni di permessi retribuiti dal lavoro ai sensi della legge 104 può dedicare una parte della giornata anche “ai propri affari” purché non snaturi la sostanza di tali permessi e non dimentichi totalmente il familiare invalido.

note

[1] Art. 33 Legge n. 104/1992: «Agevolazioni;

[1.-La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all’art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.] (1)

2.-I soggetti di cui al comma 1 possono chiedere ai rispettivi datori di lavori di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.

3.-A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di piu’ persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravita’ abbiano compiuto i 65 anni di eta’ oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di piu’ persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravita’ abbiano compiuto i 65 anni di eta’ oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (2) (3) (B).

3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito (4).

4.-Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all’art. 7 della citata legge n. 1204 del 1971, si applicano le disposizioni di cui all’ultimo comma del medesimo art. 7 della legge n. 1204 del 1971, nonchè quelle contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.

5.-Il lavoratore di cui al comma 3, [con lui convivente,] ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede (5).

6.-La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso (6).

7.-Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone handicappate in situazione di gravità.

7-bis. Ferma restando la verifica dei presupposti per l’accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l’INPS accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (7) (8) (9).

(1) Comma abrogato dall’articolo 86, comma 2, lettera i), del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

(2) Comma modificato dall’articolo 2, comma 3-ter, del D.L. 27 agosto 1993, n. 324, convertito con modificazioni dalla L. 27 ottobre 1993, n. 423; dall’articolo 3, comma 38, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; dall’articolo 19, comma 1, lettera a), della legge 8 marzo 2000, n. 53 e, da ultimo, sostituito dall’articolo 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183. In seguito, modificato dall’articolo 6, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119.

(3) La Corte Costituzionale, con sentenza 23 settembre 2016 n. 213, (in Gazz. Uff., 28 settembre 2016, n. 39), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non include il convivente – nei sensi di cui in motivazione – tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.

(4) Comma aggiunto dall’articolo 6. comma 1, lettera b), del D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119.

(5) Comma modificato dall’articolo 19, comma 1, lettera b), della legge 8 marzo 2000, n. 53 e, successivamente, dall’articolo 24, comma 1, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183.

(6) Comma modificato dall’ articolo 19, comma 1, lettera c), della legge 8 marzo 2000, n. 53.

(7) Comma aggiunto dall’articolo 24, comma 1, lettera c), della legge 4 novembre 2010, n. 183.

(8) In riferimento al presente articolo, vedi: Circolare INPS 1° marzo 2011, n. 45.

(9) Vedi l’ articolo 20, della Legge 8 marzo 2000, n. 53

(A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare INPS 23 maggio 2007, n. 90 ; Circolare INPS 23 maggio 2007, n. 90 ; Messaggio INPS 28 giugno 2007, n. 16866 ; Circolare INPS 29 aprile 2008, n. 53 ; Messaggio INPS 28 maggio 2010

(B) In riferimento al presente comma vedi: Interpello del Ministero del Lavoro 26 giugno 2014, n. 19/2014; Interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 20 maggio 2016, n. 20/2016.

[2] Inps messaggio del 25 gennaio 2011 n. 1740

[3] Min. Lav. Risp. Interpello del 9 agosto 2011 n. 32.

[4] Art. 20 co. 1 L. n. 53/2008.

[5] Art. 24 L. n. 183/2010

[6] Cass. sent. n. 54712/16 del 23.12.16.

Fonte: laleggepertutti.it/177122_come-utilizzare-la-legge-104-le-novita